
MASSIMO ZAMBONI :: IL MIO PRIMO DOPOGUERRA :: LIBRO :: MONDADORI :: 2005
Massimo Zamboni: “Abbiamo marciato con le mascherine bianche, e l’elastico tirato alle nuche. Abbiamo seguito la crescita del Cesio, guardando con sospetto a mucche e api, scongiurando il vento. Quel primo maggio, celebravamo il lavoro pensando ad altro. Quando infine si dirada la nebbia nucleare, si rivela la fisionomia del continente: dagli Urali al Portogallo, l’Europa è una, per le radiazioni. Sfioriscono uniti, i Chernobyti.”
Berlino, Beirut, Mostar. Tre città tra le tante che hanno dovuto sperimentare lo smembramento urbano. Una linea di confine grigia, consistente, il Muro. Un confine verde, irreale, la Green Line. Un confine azzurro, veloce, il fiume Neretva. Tre città, sei sponde: senza collegamenti che non siano di odio. Tre città tra le tante devastate dalla guerra e congelate in tregue fragili al centro di questo romanzo di pensieri; un libro che racconta la possibilità di vivere e trovarsi tra le macerie a uno stato puro che sgomenta, in un incontro illuminante con le essenze.
Nel giugno del 1998 i CSI, di cui Massimo Zamboni era chitarrista, tennero due concerti nella città bosniaca di Mostar dopo una serie interminabile di peripezie e soprattutto dopo un incredibile viluppo di problemi politico-etnici. Ma non era la prima esperienza di Zamboni tra le macerie di zone devastate dalla guerra: come Mostar c’era stata Beirut e la Berlino del Muro. I ricordi dei suoi “dopoguerra” sono raccolti in questo libro, un diario che racconta la tragedia quotidiana e la speranza dei luoghi più martoriati della storia dell’ultimo scorcio del Novecento.
RECENSIONE ::
MUCCHIO SELVAGGIO (Andrea Scanzi, settembre 2005) :: “Con “il mio primo dopoguerra”, titolo di per sé strepitoso, Zamboni torna a guardarsi indietro. Lo aveva già fatto con “in Mongolia in retromarcia” (Giunti, 2001). Anche adesso il 48enne autore reggiano racconta i suoi viaggi. In luoghi particolari. Che “hanno dovuto sperimentare lo smembramento umano”. Berlino 1981, Beirut 2001, Mostar 1998. Nel confrontarsi a questi spazi, ridotti a macerie “e uno stadio puro che sgomenta”, Zamboni sente “una nostalgia repulsiva per la pace che gli serra l’anima”. La narrazione, asciutta e ispirata, in prima persona, non è cronologica (è Mostar a chiudere il racconto). Ne nasce un diario di viaggio. Di guerra. E di ricordi che all’autore fanno male, come i concerti con i C.S.I. in terra slava, quando l’autista li interruppe e disse “welcome to Mostar”. Benvenuti all’inferno. “welcome hellcome”. E questo sopratutto è, il mio primo dopoguerra. Riuscita rassegna, e radiografia partecipe, di inferni.”
Dal libro “Il Mio Primo Dopoguerra” è tratto lo spettacolo Cronache dalle Macerie; con Massimo Zamboni letture e basi musicali, Marina Parente canto, Marco Bonilauri proiezioni.